COP16: La Cooperazione Italiana celebra 25 anni del “Programma Amazonia senza Fuoco” per la prevenzione degli incendi forestali nella regione amazzonica

In occasione della COP16, il “Programma Amazonia senza Fuoco” (PASF) celebra 25 anni di cooperazione internazionale tra Italia e Brasile, Ecuador e Bolivia per la prevenzione degli incendi forestali nella regione amazzonica.

L’evento, organizzato in collaborazione con CAF – Banco di Sviluppo dell’America Latina e dei Caraibi, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), il Fondo Italo-Ecuadoriano per lo Sviluppo Sostenibile (FIEDS), e i Ministeri dell’Ambiente dei paesi partner, ha l’obiettivo di evidenziare i risultati raggiunti in tre decenni di lavoro per la conservazione e protezione della biodiversità amazzonica.

Dal 1999, il PASF ha promosso una gestione integrale del fuoco in Brasile, Bolivia ed Ecuador, paesi pionieri nell’adozione di strategie di prevenzione degli incendi. Con il sostegno della Cooperazione Italiana, il programma ha contribuito in modo significativo alla riduzione degli incendi nelle aree di intervento, migliorando le capacità locali nella gestione dei rischi e sensibilizzando le comunità locali.

“Le immagini e i dati che in queste ultime settimane circolano nei media di tutto il mondo testimoniano che l’Amazzonia sta bruciando. Programmi di cooperazione come il PASF, che pongono al centro la prevenzione degli incendi forestali, sono fondamentali e vanno sostenuti e promossi anche in futuro”, ha commentato Mario Beccia, Direttore di AICS Bogotá.

La Cooperazione Italiana è orgogliosa di aver contribuito alla riduzione dei focolai nelle aree di intervento fino al 75% in Brasile, al 96% in Bolivia e all’85% in Ecuador.L’evento è stato un’occasione per riflettere sulle sfide ancora presenti nella lotta contro gli incendi forestali, aggravate dai cambiamenti climatici e dalla crescente pressione sulle risorse naturali. È stata sottolineata l’importanza di avere personale qualificato, conoscenze e strumenti di intervento, strategie di prevenzione a livello locale, nazionale e regionale, e infine l’importanza di continuare a lavorare con una visione regionale in totale singergia tra i paesi del bacino amazzonico con l’obiettivo di proteggere uno degli ecosistemi più preziosi del pianeta.

In Bolivia il sistema di allerta è una (lunga) storia che parla di competenze e autonomia

Dal 2013 la collaborazione fra AICS, FAO e Fondazione CIMA ha creato un percorso di rafforzamento del sistema nazionale di allerta dei disastri ambientali

Nei mesi scorsi il Servicio Nacional de Meteorología e Hidrología (SENAMHI) della Bolivia ha reinstallato una stazione idrologica a Chuqui Chuqui, nel municipio di Sucre (Chuquisaca), sul río Chico, un affluente del río Grande che drena nel río delle Amazzoni. Dal 12 ottobre la stazione, che era stata danneggiata da una piena nel 2021, ha ricominciato a rilevare i dati di misurazione, compreso l’andamento delle piogge e del livello idrometrico del fiume.

La progettazione, il montaggio e l’installazione della centralina sono avvenuti in piena autonomia, a valle della formazione proposta nell’ambito del Programma di assistenza tecnica per il rafforzamento, il coordinamento e l’articolazione della gestione del rischio e incremento della resilienza in Bolivia, finanziato da AICS e implementato da FAO Bolivia insieme a Fondazione CIMA.

Il programma, iniziato nel 2019 e terminato nel 2022, si è concentrato sul rafforzamento del sistema nazionale di allerta dei disastri (Sistema Nacional de Alerta Temprana de Desastres, SNATD), dotando il Vice Ministero della Difesa Civile (VIDECI) e il SENAMHI di strumenti tecnologici (quali la piattaforma myDEWETRA, sviluppata da Fondazione CIMA per il Dipartimento Protezione Civile italiana) e di procedure per migliorare il coordinamento nelle operazioni di allerta e protezione civile.

VIDECI allerta

L’implementazione del sistema di allerta in Bolivia ha visto anche l’installazione di stazioni idrometeorologiche open-hardware, come quella installata a Sucre, che permettono il monitoraggio in tempo reale di parametri diversi, alimentando i modelli idro-meteorologici di analisi ed elaborazione dei dati, garantendo una sostenibilità tanto economica quanto tecnica. A differenza delle classiche stazioni proprietarie, infatti, le stazioni open-hardware prevedono che tutti gli schemi progettuali e l’elenco dei componenti necessari alla realizzazione siano rilasciati liberamente, allo scopo di essere continuamente migliorati dalla comunità di esperti. La tecnologia aperta e l’attività di formazione sull’assemblaggio e la manutenzione, ha portato ad un’effettiva appropriazione delle competenze da parte del SENAMHI. Attualmente, in Bolivia sono in funzione otto stazioni Acronet in punti di grande interesse idrologico: le ultime delle quali assemblate e installate dal Senamhi in completa autonomia, senza il supporto fornito in precedenza da Fondazione CIMA.

Una storia duratura e di successo, come ogni storia che si basa sullo sviluppo concreto di capacità per garantire la gestione diretta e autonoma degli strumenti e delle metodologie di early warning, per preservare e proteggere ecosistemi naturali e umani.

Bolivia: pubblicato online il libro “Sistematización de experiencias en la implementación del SPA con enfoque de Justicia Restaurativa”

Pubblicato online sulla piattaforma digitale del progetto “Rafforzamento dell’istanza tecnica del Ministero della Giustizia e Trasparenza Istituzionale e del Sistema Penale per Adolescenti” il libro “Sistematización de experiencias en la implementación del Sistema Penal para Adolescentes con enfoque de Justicia Restaurativa”, che racconta esperienze e buone pratiche dei funzionari che lavorano nei centri di reinserimento sociale in Bolivia, oltre alle storie di vita degli adolescenti con responsabilità penale. Il libro nasce dalle interviste realizzate nel 2019 nel corso delle nostre missioni in tutti i Dipartimenti per conoscere la realtà dei centri e sviluppare dei corsi di formazione per gli operatori.

Consulta il libro qui

Bolivia: La salute è anche una questione di genere

In occasione del 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo di La Paz ha presentato i risultati dello studio sulle diseguaglianze di genere nell’ambito della salute, elaborato da Sabrina Drago, team leader di genere dell’AICS di La Paz con la collaborazione sul campo dell’Organizzazione della Società Civile “Centro de Promoción de la Mujer Gregoria Apaza”.

Il documento raccoglie e analizza dati quantitativi e qualitativi relativi alle zone di intervento del Programma di Assistenza Tecnica al Ministero della Salute, II Fase, AID 10869.

I municipi di Acasio e Torotoro e la zona di El Rosal/Llojeta di La Paz sono stati infatti i protagonisti del processo di formazione su tematiche relative al cancro al collo dell’utero e alla salute sessuale e riproduttiva durante vari mesi, in cui, parallelamente alle prove gratuite di VPH per le donne, si è cercato di coinvolgere tutta la popolazione sull’importanza della prevenzione in salute sia per gli uomini che per le donne.

Al percorso di formazione e alla raccolta dati hanno partecipato, tra gli altri, autorità locali, personale di salute, genitori, studenti di scuola secondaria. Per la raccolta dati sono stati utilizzati dei questionari a risposta chiusa e interviste semi-strutturate per poter approfondire alcuni punti importanti dal punto di vista della ricerca.

Lo studio, attraverso le domande dei questionari e delle interviste, si è centrato in 3 macro-aree principali oggetto dell’analisi di genere:

  • Disuguaglianza di genere rispetto alle determinanti sociali della salute: grado di istruzione, occupazione, cura e tempo per la propia cura, autonomia economica, necessità basiche;
  • Disuguaglianza di genere rispetto all’assistenza sanitaria: accesso ai servizi di salute, assistenza sanitaria, assistenza alla salute riproduttiva;
  • Disuguaglianza di genere rispetto allo stato di salute: salute sessuale e riproduttiva, violenze.

I risultati dello studio offrono diversi spunti di riflessione per la promozione di politiche pubbliche nell’ambito della salute che prendano in considerazione le disuguaglianze di genere tuttora piuttosto marcate. Abbiamo infatti visto che, nonostante un livello di studio piuttosto elevato (secondario – universitario), persistono stereotipi per cui sono solo donne coloro che dichiarano di lavorare in casa, nessun uomo, così come più del 60% di coloro che si dichiarano senza lavoro sono donne. Il tempo dedicato alla “cura degli altri” è soprattutto il tempo delle donne mentre quando si parla di responsabilità questa ricade soprattutto gli uomini. La responsabilità in questo caso è da intendersi esclusivamente in senso economico, chi provvede economicamente alla cura degli altri sono ancora in maggioranza gli uomini, perpetuando la divisione di genere tra lavoro riproduttivo a discapito delle donne e lavoro produttivo a carico degli uomini.

Per quanto riguarda l’accesso alla salute vediamo che sia uomini che donne affermano maggioritariamente di accudire al medico tra 0 e 3 volte l’anno, nonostante il 58,6% sia in possesso dell’assicurazione sanitaria pubblica gratuita. È importante risaltare che la ragione principale per cui le donne non vanno a farsi visitare è la paura, motivo esternato solo ed esclusivamente dalle donne che dicono anche di essersi sentite spesso discriminate o giudicate, mentre gli uomini non ricorrono al medico in quanto preferiscono l’automedicazione o la medicina naturale.

Infine, i dati relativi alla salute sessuale e riproduttiva confermano un potere di decisione delle donne tuttavia carente e sicuramente molto inferiore a quello degli uomini quando si tratta di decidere se avere figli o meno, se usare il preservativo o qualsiasi altro metodo contraccettivo e se avere una relazione sessuale con il proprio partner. I risultati rispetto alla violenza sono drammatici, visto che la maggior parte delle donne afferma che i centri di salute identificano  casi di violenza sessuale in due dei tre municipi di intervento del Programma. A Torotoro la percezione prevalente è che non vengano identificati ma questo non significa che non esistano, anzi.

Le raccomandazioni principali che sono state raccolte nel documento e che serviranno ai decisori politici in tema di salute riguardano innanzitutto l’inclusione della prospettiva di genere nel disegno delle politiche con particolare attenzione ai diritti sessuali e riproduttivi. L’educazione e sensibilizzazione rispetto all’uguaglianza di genere risultano due pilastri fondamentali per cambiare stereotipi e percezioni di genere che tuttora prevalgono nella società a tutti i livelli. Finalmente promuovere campagne centrate sui diritti sessuali e riproduttivi accompagnate da  un programma esteso di educazione sessuale nelle scuole per abbattere tabù e false credenze partendo dalle generazioni più giovani.

La presentazione è avvenuta via Zoom e FBLive con una media di 70 persone collegate. All’evento hanno partecipato Sabrina Drago, esperta di genere e autrice del documento, Silvia Traina, programme officer dell’AICS di La Paz, Tania Nava, responsabile di genere Oxfam Bolivia. La responsabile del programma nazionale di lotta al cancro del Ministero della Salute boliviano, Reyna Copana, ha seguito la presentazione e la direttrice del Centro de Promoción de la Mujer Gregoria Apaza, Carla Gutierrez ha fatto il discorso di chiusura dell’evento.

 

Video evento di presentazione

Documento analisi di genere (in spagnolo)

Riunione tra l’Ambasciatore d’Italia in Bolivia e il Direttore dell’AICS La Paz

L’Ambasciatore d’Italia in Bolivia, Francesco Tafuri, e il Direttore dell’AICS La Paz, Angelo Benincasa, si sono riuniti con la Ministra di Pianificazione dello Sviluppo, Gabriela Mendoza Gumiel e il Vice Ministro di Inversione Pubblica e Finanziamento Esterno, Marcelo Laura, per trattare temi di cooperazione bilaterale e per dare continuità agli accordi presi sui crediti allo sviluppo che interessano diversi settori prioritari del paese quali salute, ambiente e cultura.

Anticipazione, pianificazione e articolazione: basi per superare un disastro

Nel 2013 almeno 4.000 famiglie dei dipartimenti di Tarija, Chuquisaca e Potosí sono state colpite dagli straripamenti del fiume San Juan del Oro, secondo un rapporto del Viceministero della difesa civile (VIDECI). Come ogni evento improvviso, ci sono state delle limitazioni al momento di dare una risposta ai comuni interessati.

Quando si parla di limitazioni, esistono vari fattori tra cui spiccano: la pianificazione del territorio di fronte agli eventi avversi, la struttura, le attrezzature e il personale addestrato per affrontarli, oltre a leggi o normative per la preparazione o la risposta, nonché la preparazione e la sensibilizzazione degli abitanti delle frazioni, spiega Víctor Hugo Vedia, direttore dell’Unità di gestione dei rischi del comune di Tupiza (Potosí).

Non essere preparati a un disastro è tremendo, perché quando ti colpisce ti vien voglia di andartene, nelle settimane successive non hai da mangiare, è un colpo tremendo, nel 2013 mi è toccato viverlo, il fiume è cresciuto e tutte le piante sono state sepolte dalla sabbia, e nel 2017 c’è stata una seconda alluvione”, racconta Ricardo Ovando, produttore di ortaggi della comunità di Ichupampa, comune di Tupiza.

Quest’anno (2020) il comune di Cotagaita (Potosí) è stato sorpreso da un’alluvione che, secondo il rapporto del sindaco, Macario Navarro, ha distrutto 150 case lasciando 700 persone senza tetto. Per la risposta si sono mobilitati il governatorato, i vigili del fuoco, la polizia e l’esercito.

Tuttavia, abbiamo ricevuto l’impatto dell’alluvione più organizzati, il nostro comune ha risposto meglio rispetto agli anni precedenti, avevamo già un’Unità di gestione del rischio costituita e il Comitato operativo di emergenza (COE) attivato, spiega Franz Tito, funzionario tecnico agropecuario del municipio di Cotagaita.

Affrontare il rischio implica conoscerlo, per questo abbiamo lavorato con otto comuni, abbiamo elaborato le loro mappe dei rischi e i piani di contingenza delle loro frazioni (destinati alla preparazione di fronte a un disastro a cui il comune ha dato la priorità), oltre alle loro leggi locali in materia di gestione dei rischi. A ciò si aggiunge il lavoro di interconnessione tra i comuni, nell’ambito di una strategia di monitoraggio graduale, il che significa che ogni comune informa l’altro, per esempio, sul volume d’acqua piovana che cade nella parte superiore del bacino idrico, in modo che quelli che si trovano nella parte inferiore prendano le loro precauzioni”, spiega Edwin Alí, funzionario tecnico della FAO-Bolivia in gestione dei rischi nel bacino del fiume San Juan del Oro.

Questo lavoro è stato integrato con una strategia agricola. “Il principio che i comuni hanno applicato è quello di garantire la sicurezza alimentare, per questo il lavoro svolto è stato quello di utilizzare specie a ciclo breve, in modo che le frazioni prima della prima pioggia si garantiscano un raccolto e non siano vulnerabili al rischio di alluvioni nelle stagioni delle piogge”, commenta Mario Martínez, sindaco del comune di Tupiza.

D’altra parte i comuni hanno lavorato ai sistemi di allerta precoce, ciò è essenziale perché ci prepara in anticipo ad un possibile disastro. Abbiamo ripristinato otto stazioni meteorologiche e addestrato abitanti delle frazioni ad interpretare i dati e allo stesso tempo ad informarci. In altre frazioni con cui non abbiamo comunicazione abbiamo implementato allarmi luminosi, questo funziona con un sistema di lanterne che emettono luci di colore rosso, giallo e verde. Quando è verde è normale, in giallo è attenta ai cambiamenti e quando è rosso la frazione applica varie strategie, come spargere fumi nei campi per far aumentare la temperatura o accendere riscaldamenti”, commenta Oscar Peca, direttore dell’Unità di gestione dei rischi e allerta precoce del comune di Vitichi (Potosí).

La tecnologia e la comunicazione svolgono un ruolo preponderante affinché questo coordinamento funzioni e per questi comuni l’applicazione WhatsApp smette di avere solo un ruolo sociale e assume un ruolo preventivo, perché 15 comuni comunicano e si informano sulle condizioni meteorologiche.

Il nostro sindacato agrario ha eletto un giovane, perché gestisce meglio la tecnologia e gli è stato insegnato a comprendere le informazioni trasmesse dai funzionari tecnici in gestione dei rischi. A metà aprile, grazie alle allerte del comune di Tupiza, siamo stati in grado di salvare le nostre cipolle già raccolte e ad evacuare parte del bestiame”, racconta Marvel Gonzàles, segretario generale della frazione di Santa Rosa (comune di Las Carreras, Chuquisaca).

Un’altra delle soluzioni identificate per affrontare questi eventi avversi sono strumenti semplici e redditizi per i produttori, in questo senso “la piantagione di fichi d’India è un’alternativa semplice e altamente redditizia, che può aiutare a integrare l’economia delle frazioni, perché la sua coltivazione è semplice e resiste ai climi estremi”, spiega Willy Blanco, assessore allo sviluppo produttivo del comune di Cotagaita.

Un’altra strategia, applicata dal programma di assistenza tecnica del VIDECI e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) con il finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione Internazionale, per coprire il vasto territorio dei comuni è la formazione dei promotori, per “imparare facendo” le strategie di rischio e agricole e in questo modo, in coordinamento con i governi autonomi municipali, poter lavorare insieme di fronte a un evento avverso.

La solidarietà è un elemento essenziale per il funzionamento del modello. Un esempio è che, durante il disastro verificatosi a Cotagaita, i comuni di Vitichi e Tupiza hanno aiutato con macchinari, un motolivellatore e un camion, per appoggiare la popolazione di fronte a quest’emergenza.

Tuttavia, tutto ciò che i comuni imparano e applicano trascende e di fronte all’emergenza sanitaria del Covid-19 cinque dei municipi, che avevano appena superato la stagione delle piogge, hanno messo al servizio della popolazione il proprio Comitato municipale per la riduzione del rischio e l’assistenza nei disastri (COMURADE) e il proprio Comitato operativo di emergenza (COE), come stabilito dalla legge nazionale di gestione del rischio (Legge 602 del 2014), solo che stavolta a sostegno della salute della popolazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AUTORE: Alfredo Eguino

Una nuova opportunità per i giovani operatori turistici del Qhapaq Ñan

La Paz, Bolivia. Sono le otto di una fredda mattina invernale. Partiamo da Piazza di Spagna, direzione Lago Titacaca, il nostro obiettivo è visitare i progetti finanziati dalla Cooperazione Italiana nel settore turismo, alcuni dei quali si realizzano nelle aree contigue al sentiero inca del Qhapaq Ñan. Tra questi “INCAmmino”, progetto implementato dalla ONG italiana Istituto Cooperazione Economia Internazionale (ICEI) e l’iniziativa “Qhapaq Ñan – II Fase”, gestito dal Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). Ci accompagna Daniel Carvallo, coordinatore generale per la Bolivia, Ecuador e Perù del progetto di UNDP, il quale, durante il viaggio, ci racconta i passaggi più importanti della prima fase del citato intervento.

Sono le 11 quando arriviamo a Santiago de Okola, paesino situato sulla sponda boliviana del Lago Titicaca, a 4mila metri sopra il livello del mare. Nella piazza del paese ci aspetta Luciano Lucchesi, coordinatore del progetto “INCAmino” di ICEI. Scendiamo dalla macchina. L’aria è frizzante, il sole è fortissimo, brucia la pelle, tipico dell’altipiano. Questa comunità sperduta del lago è il punto strategico per articolare le attività dei due progetti finanziati dalla Cooperazione Italiana e volti alla promozione del turismo comunitario e sostenibile del Qhapac Ñan, sentiero inca che percorre il Sudamerica dalla Colombia al Cile.

Dalla piazza ci spostiamo verso la scuola del paese, dove Luciano si sta occupando della formazione dei giovani operatori turistici locali, una delle principali attività del progetto. Questo intervento prevede, infatti, tre componenti: la tutela del patrimonio, la creazione di sinergie tra i vari comuni per lo sviluppo di un piano turistico e, infine, la promozione turistica, anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie digitali dell’informazione e comunicazione (TIC).

È proprio sulle attività formative che si concentra il lavoro di ICEI in questo periodo. Nell’atrio della scuola, giovani operatori turistici provenienti da zone più disparate della Bolivia si sono riuniti per prendere parte al corso per giovani guide. Il corso è concepito per migliorare le loro capacità e conoscenze tecniche come professionisti del settore.

Approfittiamo dunque per fare qualche domanda e raccogliere delle testimonianze:

Maruja è la Presidente dell’Organizzazione del Turismo Comunitario di Santiago di Okola, nata nel 2006 dall’associazione di 6 famiglie e attualmente composta da 12 famiglie. “Santiago di Okola dista circa 2 ore e mezza dalla città di La Paz. Tradizionalmente questa comunità si è dedicata alla pesca e all’agricoltura, anche se negli ultimi anni il turismo internazionale sta prendendo piede. I turisti arrivano soprattutto da Stati Uniti, Francia, Germania e Giappone e sono attratti da questi luoghi favolosi e dallo stile di vita della comunità, così diverso dal loro. Nel paese, non esiste un hotel e i turisti sono accolti dalle famiglie all’interno delle loro case. Ad oggi, però, mancano ancora alcuni strumenti importanti per sfruttare a pieno il potenziale turistico del posto. La comunicazione e la tecnologia, ad esempio, sono importanti per poter contattare direttamente i turisti. Al momento ci appoggiamo alle agenzie di viaggio, anche se ci piacerebbe imparare a gestire le comunicazioni con i turisti in prima persona”.

Ramiro, invece, viene dall’impresa Qala Uta, fondata nel 2008 e composta da 25 famiglie. “Per alcune società turistiche il lavoro è più facile perché si trovano vicino alle città. Nel nostro caso, abbiamo cercato di sfruttare la tradizione Aymara per attrarre l’attenzione dei turisti. Come comunità, siamo uniti dalla cosmovisione indigena fatta di animali e natura, per noi tutto possiede vita. I benefici ottenuti con il turismo si distribuiscono tra tutta la comunità, sia tra coloro che partecipano al circuito turistico, come tra coloro che non vi partecipano affatto. Vi siamo riconoscenti per questa opportunità e per condividere con noi le vostre conoscenze”.

Amalia fa parte di Tomarapi, associazione che da oltre 16 anni lavora nel circuito turistico del lago e conta oggi con 25 soci. Amalia è molto felice di poter partecipare a questo Progetto, ci dice che gli spazi di formazione sono un ottimo strumento per la sua crescita professionale. “Il progetto ci aiuta molto. Posso imparare a guidare i turisti e in futuro potrò formare a mia volta altre guide all’interno della mia comunità”.

Jesus fa parte dell’impresa Mi casa es tu casa della regione tropicale dello Yungas, vicino alla città di La Paz. E’ la prima volta che la cooperazione internazionale ci fornisce della formazione su questi temi, un metodo empirico che ci permette di imparare un mestiere.”

Onofre invece fa parte della Comunidad San Antonio de Lipez nel Dipartimento di Potosí, a 700 km da qui. “Tra le varie attrazioni turistiche, offriamo la possibilità di visitare le miniere coloniali. L’affluenza di turisti da Cile e Argentina è forte. Questi corsi ci permettono di sviluppare ulteriormente i rapporti con i turisti che arrivano da questi paesi”.

Anche Ronald viene da Potosí. L´associazione per cui lavora offre ai turisti visite guidate per conoscere le pitture rupestri Inca. “Il corso ci aiuta con la formazione su aspetti importanti come norme e regole per formare le guide locali del turismo comunitario”.

Parliamo infine con Boris, guida turistica e fotografo della comunità di Luribay, che è venuto per tenere un piccolo corso di fotografia per i giovani operatori turistici che partecipano al progetto. “Da noi, il turismo ha ancora grossi limiti, mancano le infrastrutture e il fatto che il governo imponga il visto turistico a chi viene da Stati Uniti e Israele, è un grosso problema; senza contare che le tasse sono piuttosto alte. Per quanto la cooperazione internazionale sia di molto aiuto, il governo dovrebbe dimostrarsi più flessibile e vicino alla gente”.

È stata molto gradita la nostra visita a Santiago di Okola, e la nostra partecipazione al workshop organizzato da ICEI è vista come un coinvolgimento e un’attenzione che raramente gli abitanti di questi luoghi sono abituati a ricevere da parte delle istituzioni. Anche per questo siamo cordialmente invitati a pranzo da Doña Maruja che ci offre un delizioso Apthapi, tradizionale pic-nic, esclusivamente a base di prodotti locali.

Dopo il pranzo, la nostra visita continua verso casa di Doña Victoria, una casa tipica dove vengono alloggiati i turisti. Doña Maruja e Daniel ci spiegano che, per sviluppare il turismo comunitario, è necessario standardizzare le strutture ricettive e migliorarle, in modo tale da creare uno standard minimo di qualità. Per questo motivo, bisognerà investire anche sugli impianti elettrici, sanitari e migliorare la qualità di letti e servizi, in modo da far sentire a proprio agio turista e visitatori.

 

AUTORE: Alfredo Eguino

Inaugurato a Cochabamba il Centro di Attenzione Integrale per la Famiglia (CAIF)

Si trova a Cochabamba, nel cuore della Bolivia, il primo centro pubblico del paese che offre servizi di riabilitazione ambulatoriale per persone con problemi di consumo di alcool e altre sostanze.

Martedì 14 maggio, nell’ambito del “Progetto comunitario per la prevenzione e il trattamento ambulatoriale di persone con problemi di consumo di alcool e altre sostanze” AID 11303, è stato inaugurato il Centro di Attenzione Integrale per la Famiglia (CAIF), spazio che offre servizi di prevenzione, diagnosi psicologica e sociale, oltre al trattamento ambulatoriale per persone con problemi di consumo di sostanze lecite e illecite in Bolivia.

L’iniziativa si inserisce nel quadro di un accordo firmato tra il Ministero della Salute, il Governo Autonomo Municipale di Cochabamba e la Sede Estera AICS di La Paz diretto a costruire un modello municipale per la presa in carico, trattamento e riabilitazione di persone che presentano problemi legati al consumo di alcool e altre droghe. Il modello si focalizza sull’elevato rischio al quale la popolazione boliviana è esposta per il consumo lecito di alcool e sostiene azioni mirate alla riduzione di tale fenomeno.

Il progetto interessa un’area, quella del Distretto 16 della città di Cochabamba, caratterizzata alti indici di criminalità e insicurezza urbana, e da un elevato numero di consumatori di alcool e altre sostanze stupefacenti. Il personale del progetto, sia quello contrattato dall’AICS che quello contrattato dal municipio, già da qualche mese ha sviluppato un importante lavoro in rete con le scuole, i servizi socio-sanitari, la Polizia nazionale, le organizzazioni sociali e altre strutture specializzate nel trattamento psicologico e psichiatrico, allo scopo di far conoscere le attività e i servizi che offre il centro e inserirlo nella rete delle istituzioni che operano sul territorio.

In occasione dell’evento di inaugurazione, il Dr. Angelo Benincasa, Reggente della Sede Estera AICS di La Paz, ha sottolineato la volontà, per il futuro immediato, di continuare a sostenere il settore della salute attraverso progetti di questo tipo, che possano generare un impatto positivo, concreto e tangibile sulla realtà locale, andando a lavorare con gruppi di popolazione vulnerabili come, nel caso in questione, i giovani a rischio di esclusione sociale di Cochabamba. L’iniziativa si rivolge proprio a questi gruppi, che saranno accompagnati con attività di informazione e prevenzione riguardo il consumo di droghe, l’abuso di alcool e la promozione di stili di vita salutari. In termini generali, i beneficiari diretti del progetto sono le persone che decideranno di affrontare i problemi di abuso e/o dipendenza attraverso un percorso di riabilitazione ambulatoriale integrale e completamente gratuito.

A conclusione dell’evento, il primo cittadino di Cochabamba, Iván Tellería, ha ringraziato la cooperazione italiana per il lavoro che svolge in Bolivia, sottolineando l’importanza del progetto, laddove il CAIF è il primo e sinora l’unico centro pubblico in tutto il Paese che offre servizi di assistenza ambulatoriale specializzati su queste problematiche. Le famiglie di Cochabamba potranno infatti rivolgersi al centro per ricevere appoggio e assistenza professionale gratuita, contribuendo in questo modo a ridurre l’incidenza di un fenomeno che si sta facendo sempre più preoccupante e che sta generando problemi di diversa natura quali incidenti stradali, violenza familiare, incremento della delinquenza e diffusi problemi di salute, oltre ad essere la principale causa della distruzione di numerosi nuclei familiari in tutto il Paese.

AUTORE: Alfredo Eguino

 

Visita di una delegazione AICS presso il centro di Qalauma

Una delegazione della AICS, composta dal Titolare della sede di La Paz Angelo Benincasa, dalla assistente tecnica Serena Bernardin, dalla referente del settore Comunicazione della AICS di Roma Elisabetta Quartullo e dalla Rappresentante della ONG Progetto Mondo MLAL Anna Maria Alliod a cui è affidata l’esecuzione del progetto “Restoring justice: attivando modelli innovativi in materia di giustizia penale minorile e prevenzione della delinquenza giovanile per la diffusione della cultura riparativa” si è recata in visita presso Qalauma, centro di reinserimento sociale per i giovani dai 18 ai 28 anni con debiti di giustizia.

Il progetto, finanziato da AICS per Euro 1.747.314, con durata triennale (2017-20), vuole contribuire al reinserimento nella società  di ragazzi che si trovano con misure giudiziarie di diverso tipo, seguendoli dal punto di vista educativo e professionale, nel percorso detentivo e post detentivo. I ragazzi provengono dalle aree più degradate e povere della Bolivia e si sono macchiati di reati penali che vanno da stupro, all’uso di sostanze stupefacenti, al furto e in alcuni casi omicidio. Vengono in primo luogo inseriti in un’area di accoglienza secondo un sistema progressivo di ingresso e divisi per fattore di rischio di recidività, dopo un esame psicologico e medico.

La struttura del Qalauma è nata nel 2005 con l’esigenza di togliere i ragazzi dalle carceri boliviane, popolate da detenuti adulti e rei di vari crimini. Alla sua realizzazione ha partecipato, oltre una moltitudine di donors, anche la Cooperazione Italiana. Ad oggi Qalauma è considerato un modello nell’ambito della giustizia riparativa per le attività di riabilitazione e di reinserimento sociale degli oltre 300 giovani ospitati dell’istituto. 45 istituzioni, tra pubbliche e private (Banche, Fondazioni, Associazioni, istituzioni pubbliche e religiose) cooperano nelle attività del Qalauma. All´interno del centro ci sono 5 aree. Per tutte le aree è previsto l’accesso al centro di istruzione che rilascia, alla fine del percorso, una certificazione utile ai fini della reintegrazione dei giovani una volta ottenuta la libertà.

La visita della delegazione AICS, accompagnata da Renè Ponce, coordinatore ad interim del progetto socio-educativo e responsabile del settore arte e cultura, è iniziata nella grande area centrale dell’istituto che ospita i diversi laboratori e in particolare la falegnameria, dove 23 giovani, sotto la guida del docente, lavorano assi di legno, pino per l’esattezza, per la realizzazione di letti a castello che serviranno ad ospitare il numero di ragazzi presenti nella struttura, che supera nettamente quello previsto dal progetto iniziale. Realizzano anche decorazioni artistiche, cucce per cani e giochi per bambini.

Si prosegue nel laboratorio metalmeccanico, dove viene lavorato il ferro per la produzione di oggetti artistici quali portabottiglie, fioriere, piani cottura destinati alla vendita all’esterno. Quindi si va nella panetteria, dove si producono biscotti con la solerzia e rapidità di una catena di montaggio. I biscotti, lavorati e cotti, vengono quindi raccolti in grandi sacchi e donati al governo che, in base ad un progetto di sussidio, li fornisce alle donne in stato di gravidanza. Dal biscottificio si accede in una piccola stanza con un forno, dove 3 ragazzi impastano la farina per la preparazione dei panini destinati alla comunità dell’istituto.

Nel laboratorio di serigrafia, vengono realizzate le stampe dei disegni sulle borse di stoffa che andranno alle imprese che si  prestano ad  accogliere i ragazzi nella fase post penitenziaria. Si prosegue verso la sartoria, dove vengono cucite felpe, grembiuli, borse di stoffa anche con la elaborazione di nuove creazioni da esportare esternamente.

Quindi, si visita il Laboratorio artistico-culturale, con una biblioteca e un’area editoriale dove si producono diari, agende, vengono rilegati artigianalmente libri e pubblicati racconti e storie scritti dai ragazzi. Solo in questo laboratorio è permessa la frequenza di ragazzi di entrambi i sessi.

L’ultimo laboratorio è quello di lavorazione delle pelli, frequentato solo dalle ragazze che, con la presenza del docente e di una guardia carceraria donna, imparano a cucire prima su teli di stoffa per poi passare alle pelli. Camila e le compagne con entusiasmo mostrano agli ospiti e loro realizzazioni in pelle, alcune delle quali vengono anche acquistate dai presenti.

La visita ha permesso il contatto diretto e scambi con i ragazzi e anche l’ascolto di alcune loro testimonianze. La visita si conclude con una tavola rotonda per uno scambio di opinioni e informazioni con alcuni docenti, educatori e volontari esperti in socio-psicologia e riabilitazione.

AUTORE: Alfredo Eguino